Qualche tempo fa ho visitato la casa, completamente immersa in un bosco, di una cara amica. Tra le essenze arboree che popolano quel bosco la più straordinaria è forse quella del faggio (Fagus sylvatica), perfettamente a suo agio in folti gruppi e parimenti splendido da solo, quando si rivela maestoso e altero, con i rami robusti che si dipartono piuttosto bassi sul tronco ed il fogliame nervato elegante in ogni stagione, che sia verde tenero o cupo, amaranto, giallo-bruno o rosso.
Ed il Faggio, longevo anche fino a 300 anni, ha sempre sussurrato messaggi di eternità agli uomini, fin dall’antichità, quando era considerato uno di quegli alberi cosmici che congiungono terra, cielo ed inferi portando le sue linfe vitali al cosmo intero, che nutre e dal quale è nutrito.
Vecchie leggende britanniche e del nord della Francia narrano che dentro agli alberi si nascondano le anime intrappolate di chi deve pagare pegno di qualcosa, di chi in vita ha avuto una qualche manchevolezza e che ora deve scontare nutrendo la pianta con la sua stessa essenza.
Beh, non so se gli antichi considerassero questa una sorta di punizione, ma io lo trovo terribilmente eccitante.
Penso che pianterò un Faggio, prima o poi, chissà che qualcuno della mia famiglia non ne diventi il druido o la driade.
E nel mio giardino immaginario, un faggio dovrebbe essere piantato in questo modo che ora vi descrivo.
Al centro di un grande spazio quadrato si leverà elegantissimo, negli anni, un Fagus sylvatica ‘Purpurea Tricolor’, varietà pregevolissima di questa pianta. Normalmente diffido delle piante e soprattutto degli alberi a fogliame variegato, spesso pacchiani o difficilmente armonizzabili, ma questo, che ha come sinonimi anche ‘Roseomarginata’ o semplicemente ‘Tricolor’, ha dalla sua parte una leggerezza di portamento e fogliame che riesce a vaporizzare, complice una luce soffusa, lo sfarzo di ogni singola foglia, trifasciata sul margine e a colorazione rosso scura, rosa e rosso vivace, in una nube di farfalle. In primavera, al comparire del nuovo fogliame, lo spettacolo è di una bellezza difficilmente descrivibile: i rosa e i rossi pallidi si inseguono attraverso l’impalcato elegante dell’albero, quindi le tinte si opacizzano a stagione avanzata, per virare al giallo e al bruno in quella autunnale.
Quest’albero si esprime al meglio, sia dal punto di vista estetico che colturale, in condizioni di mezz’ombra, e magari circondato da una siepe verde cupo.
Attorno a quest’albero cosmico personale, va lasciato spazio: è un attore di movenze e gestualità ampie e ricche, ma sa catalizzare l’attenzione anche in perfetta solitudine.
Ai suoi piedi, in ampi gruppi ben distanziati tra loro crescono Epimedium x rubrum, un bellissimo ibrido tra Epimedium alpinum e Epimedium grandiflorum: oltre ad essere più rapido nella crescita rispetto ad altri del genere, senza essere mai invadente, sfoggia un fogliame in continuo cangiare, rossastro all’apparire così come in caduta, di un bel verde nel resto dell’anno, e racemi di fiori primaverili dai sepali rossi e petali giallo chiaro. Mi rimanda ad un esotismo silvano che in fondo un po’ m’appartiene.
Ad ondate crescono anche masse di crochi color ametista, magici a primavera quando accompagnano il superbo fogliame giovanile del faggio, e ciclamini a fioritura autunnale come il classico Cyclamen hederifolium o come il più insolito Cyclamen cilicium, un po’ meno rustico, ma che porta le foglie al momento della fioritura, al contrario del precendente.
Infine, tre grandi rose definite rampicanti ‘Sir Cedric Morris’, ma qui coltivate come enormi cespugli e collocate asimmetricamente a gran distanza dal Faggio, coloreranno il giardino fino a stagione molto avanzata con bei cinorrodi arancioni e, a primavera, con delicati e semplici fiori bianchi, profumati, in ampi corimbi.
Da una panca situata al limitare del giardino, proprio di fronte a sua maestà il Faggio, siede il giardiniere custode di questo luogo, e dialoga con Lui, chissà di che cosa. Forse di ordini cosmici ed equilibri del tutto irrazionali, o forse no.
Mi piace pensare che chi pianta un albero sia ancora oggi il protettore di questi ordini, di questi equilibri, che traggono sapere e serenità non tanto dalla conoscenza del Mondo e della Natura, ma dalla percezione intuitiva dell’essere un tutt’uno con essi.
0 commenti:
Posta un commento