La Mariée mise à nu par ses célibataires, même - Duchamp, Luce e Massoneria

La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche








Conosciuto più come spesso come Il
Grande Vetro, è l'opera singola più importante che Duchamp abbia realizzato, per sua stessa ammissione.


L'opera consiste in due grandi lastre di vetro (277 x 176 cm) al cui interno si trovano lamine di metallo dipinto, fil di piombo, polvere. I curiosi marchingegni intrappolati nel vetro della parte inferiore non sarebbero che testimonianze del denudamento di una sposa, come ci sugerisce il titolo. Nella parte superiore, invece, si trova la Vergine Sposa, Iside ed Euridice, insomma, la Dea.
Innumerevoli sono state le interpretazioni date dai critici, una delle più interessanti tra le (poche) cui ho dato una scorsa è sicuramente quella di Maurizio Nicosia, che mette in rilievo l'interesse di Duchamp per il culto della luce, un persorso del tutto unico nel suo tempo ma largamente percorso nell'arte precedente. Il Grande Vetro, con i suoi materiali sovrapposti, la matericità delle polveri e le sue trasparenze è una vera celebrazione della luce e della sua metafisica. Lo stesso Duchamp lo definì 'mondo in giallo' riferendosi alle modalità di propagazione dei raggi luminosi negli strati materiali prospettandone "l'esecuzione [esecuzione di un'opera! una concezione splendidamente oltre la staticità del dipinto tradizionale] per mezzo di sorgenti luminose". Nicosia, brillantemente, lo definisce "un cosmogramma della luce, ovvero una rappresentazione simbolica dell'emanazione universale della luce e, al contempo, un viatico per tornare alle origini, alla luce stessa".

Duchamp elaborò un'ampia base teorica sull'opera in questione, che raccolse in due "scatole" e pubblicò in tiratura assai limitata. Inutile dirlo, gli scritti sono di difficile interpretazione, alla luce del minimalismo ermetico della scrittura di Duchamp. Uno schizzo considerato irrilevante dai più, probabilmente perchè troppo criptico, all'interno della prima scatola, raffigura un ciclista che risale un pendio. La frase che lo accompagna suona come "Avere l'apprendista nel sole".
Nel contesto dei rituali massonici, la frase non può che alludere ai riti d'iniziazione, al momento in cui l'apprendista riceve ed entra nella luce. Il ciclista, in quest'ottica, può essere interpretato come l'iniziato che tenta l'ascesi.
Ma questo non basterebbe per pensare ad una relazione dell'opera con la cultura rituale massonica. Duchamp, tuttavia, scrisse sempre a proposito del Grande Vetro che aveva una base in «maçonnerie». La maggior parte dei critici ha semplicemente interpretato la parola come "muratura", traduzione effettivamente adeguata ma non univoca. Come sottolinea Nicosia, volendo indicare senza possibilità d'equivoco la muratura, Duchamp avrebbe sfruttato il termine "murage".
Teniamo un attimo a freno la speculazione critica, però: avere un fondamento in massoneria altro non significa che il percorso concettuale dell'opera, che si propone appunto come una metafisica e poetica della luce, è analogo al rituale di ascesa iniziatica che conduce alla luce stessa. O forse c'è di più. Dopotutto quasi tutte le religioni ed i culti dedicano uno spazio rilevante alla Luce, Duchamp avrebbe potuto scegliere agevolmente un'altra metafora. Rimane una punta di dubbio.

Duchamp descrisse Il Grande Vetro come un motore, un veicolo iniziatico che conduce all'Amore, che poi sarebbe lo sbocciare della sposa, della Dea.
Secondo i preziosissimi appunti dell'artista, al funzionamento di questo motore concorrono due elementi: "il gas luminoso" e la caduta dell'acqua (da quella sorta di nube che sitrova nel riquadro superiore). Tali sarebbero gli strumenti che consentono di muoversi tra 'Il Riposo' e la 'Scelta di Possibilità', termini di Duchamp che noi potremmo assimilare all'Uno platonico e al concetto di molteplice. Il gas luminoso e l'acqua in caduta, infatti, sarebbero una sorta di cerniera tra i due concetti, unificanti e divisori allo stesso tempo.
Ancora, Eraclito parlava di via ascendente e di via discendente, e non è difficile scorgere anche la sua influenza filosofica.

Acqua e gas luminoso, capisaldi di una cosmogonia ermetica della luce e gradini di un persorso iniziatico che l'artista non solo descrive ma sicuramente auspica. L'opera diventa un invito ed un grimorio di difficile lettura, ma di sicuro potere evocativo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Lavoro su "Trilogy" di Hilda Doolittle. è una straordinaria traduzione poetica di questo vetro, anche. (c'è anche in traduzione italiana)Complimenti per il blog.

Anonimo ha detto...

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