Milano è stata calda. Cinque giorni passati a districarsi in una giungla metropolitana a crocette. Selezionare l'alternativa corretta. Non ci sono spiegazioni da dare, eloqui viscerali con tanto esercizio di magnetismo, nè tantomeno esaustivi silenzi. Solo scelte. Prego porre una crocetta sull'alternativa corretta.
Io non so scegliere.
Milano è fredda. In uno dei suoi divagare poetici, Fossati canta "delle città importanti io, mi ricordo Milano, livida e sprofondata per sua stessa mano". Qualcosa dev'essere davvero sprofondato. Si respirava un'aria di vaghezza, come se ciò che è stato si fosse appannato da un po' di tempo. Potrebbe essere la stagione. Per le strade, tutto è materiale, e facile: non si avverte affatto la densità di Venezia, non si assapora l'eclettismo a volte volgare di Roma.
La luce non è bella, i giardini sui tetti piacevoli.
La notte ingentilisce la città e, come spesso accade, svela un pezzetto del nocciolo cittadino. Scompare il grigiore luminoso del dì, che così tristemente si intona ai colori della gente, si fa invece spazio la sera con le sue vetrine illuminate e i volti più rilassati, gli atteggiamenti meno ingessati. Per un momento riemerge un riflesso di quel che è sprofondato, ho il sospetto che da qualche parte la creatività, la fantasia più febbrile e i gruppi coraggiosi si annidino ancora in questa Milano. Più che altrove.
Comunque, non so scegliere, e non mi sento abbastanza.
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