Al bar...

°°°° Ciao!
---- Hey ciao. Anche oggi è orribilmente caldo.
°°°° Già. E poi non ho dormito.
---- Come mai?
°°°° Mah, ieri sera ho tentato di andare al cinema ma mi sono perso. Alla fine mi hanno scambiato per un gigolò in cerca di clienti.
---- Ma che cosa adorabile! Io amo essere scambiata per una puttana, ogni tanto!
°°°° Non lo diresti se lo avessi visto. Ci ho messo ore per liberarmene.
---- Com'era?
°°°° Hai presente il bambino di MariaStella, quello di due settimane?
---- Oh! Che orrore!

Il pre-test....

Milano è stata calda. Cinque giorni passati a districarsi in una giungla metropolitana a crocette. Selezionare l'alternativa corretta. Non ci sono spiegazioni da dare, eloqui viscerali con tanto esercizio di magnetismo, nè tantomeno esaustivi silenzi. Solo scelte. Prego porre una crocetta sull'alternativa corretta.

Io non so scegliere.

Milano è fredda. In uno dei suoi divagare poetici, Fossati canta "delle città importanti io, mi ricordo Milano, livida e sprofondata per sua stessa mano". Qualcosa dev'essere davvero sprofondato. Si respirava un'aria di vaghezza, come se ciò che è stato si fosse appannato da un po' di tempo. Potrebbe essere la stagione. Per le strade, tutto è materiale, e facile: non si avverte affatto la densità di Venezia, non si assapora l'eclettismo a volte volgare di Roma.
La luce non è bella, i giardini sui tetti piacevoli.

La notte ingentilisce la città e, come spesso accade, svela un pezzetto del nocciolo cittadino. Scompare il grigiore luminoso del dì, che così tristemente si intona ai colori della gente, si fa invece spazio la sera con le sue vetrine illuminate e i volti più rilassati, gli atteggiamenti meno ingessati. Per un momento riemerge un riflesso di quel che è sprofondato, ho il sospetto che da qualche parte la creatività, la fantasia più febbrile e i gruppi coraggiosi si annidino ancora in questa Milano. Più che altrove.

Comunque, non so scegliere, e non mi sento abbastanza.

Diario di un Vampiro

Mercoledì 22 ottobre 1880

Anche se è figlia dell'Illuminismo più fervido, vissuto dall'interno di una cerchia d'amicizie inequiparabili per intensità e purezza, Alice non ha faticato ad adattarsi alla società dei secoli successivi, con i suoi costumi e regimi. Alice si considera una bella ventenne del ventunesimo secolo, a tutti gli effetti. E così riesce ad apparire. Il suo aspetto certo non tradisce oltre duecento anni d'età, nonostante il trucco pesante e le espressioni tese suggeriscano il peso di tanti anni passati a cercare la via più semplice per sopravvivere. Quando si è vampiri e si vuole a tutti costi rimanere in società, si deve accettare qualche compromesso. Chi se ne fotte, tanto l'anima l'abbiamo già venduta.

E' straordinario trovarsi ad essere vampiri, ancora una volta assieme. Le nostre strade, da una sola che era, si sono fatte così diverse. C'è solo una maledizione ad accomunarci, ora. Quando eravamo in vita ti ho amato, in qualche modo. Questo non te l'ho mai detto, ma sono certo che lo sai. Ed è stato con me che hai provato l'ebrezza del sangue. Le colline si stendevano sotto di noi, dalla torre d'avorio, ed un esercito di lucciole nobilitava il campo incolto di fronte al fiume. "Un giorno", mi hai detto, "faremo qualcosa di importante, noi due. Per ora, ci baciamo?"

Violet Carson

"Oggi mi hanno dato una delle tue rose."

- Sapevo che questa varietà si era estinta.-

"Spero che il mondo cambi e che le cose migliorino, e che un giorno la gente abbia di nuovo le rose."


Per curiosità e stima immensa di quel capolavoro di 'V for Vendetta' (il fumetto, non il film), dove la rosa è citata ripetutamente, ho fatto una ricerchina che vi propino come mio solito. Al principio quasi certo che la rosa fosse inventata, mi sono avventurato nelle mie enciclopedie in cerca della fantomatica 'Violet Carson' e -sorpresa!- la rosa esiste ed è anche piuttosto nota. L'ibridatore è Samuel Darragh MCGredy IV, dall'Irlanda del Nord e la varietà risale al 1964. I fiori, del diametro di 8 cm, abbinano la forma degli ibridi di tea con la disposizione del fiore a corimbo tipica delle floribunda. Una rosa che incontrava quindi perfettamente i gusti della seconda metà del XX secolo: i mazzi portano dalle 3 alle 15 rose. Lloyd l'ha sempre giustamente rappresentata con uno stelo assai corto, infatti non si rappresenta mai l'intero mazzo. Il colore è un rosa gamberetto che trascolora al rosa e al bianco, con il retro dei petali più pallido. Ha poche spine, talvolta nessuna, e il profumo, di media intensità, è dolce e muschiato.
Samuel McGredy IV, bisnipote del Mc Gredy che dedicò il vivaio di famiglia alle sole rose, viveva a Portadown. Assunse la direzione del vivaio nel 1953, e ottenne risultati di rilievo (in un contesto commerciale, ma per me di dubbio gusto) ibridando le cosiddette "dipinte a mano", con venature e marezzature bianche su fondo rosso. Violet Carson è certamente più apprezzabile.

La rosa è dedicata ad una nota caratterista inglese, nonchè all'occasione cantante-era un soprano- e pianista. Il ruolo a cui fu legata per la maggior parte della sua carriera fu quello di Ena Sharples, nella serie di Coronation Street, dove passava la maggior parte del tempo a criticare i poveri passanti. Si dice che il personaggio di Ena rispecchiasse per antitesi la vera personalità di Violet Carson.

Ah, una curiosità: nel film 'V for Vendetta' la rosa viene chiamata col nome di fantasia Scarlet Carson. Non esiste nessuna rosa con questo nome. Per rappresentarla, nel film, è stata utilizzata la rosa rossa 'Grand Prix', una classica rosa dei fioristi senza una precisa storia alle spalle.


Sempre nel film, Evey (Natalie Portman) durante la prigionia trova una lettera scritta da Valery, una lesbica torturata, quindi uccisa, per la sua omosessualità. Valery si era ritrovata a scrivere della sua vita su un pezzo di carta igienica. Parlando del suo amore con Ruth, la rosa viene così citata:
Andammo a vivere insieme in un appartamentino a Londra: lei coltivava le “Scarlett Carson” per me nel vaso sotto la finestra e la nostra casa profumava sempre di rose. Furono gli anni più belli della mia vita. Ma la guerra in America divorò quasi tutto e alla fine arrivò a Londra.
A quel punto non ci furono più rose ..per nessuno. [...]
Ricordo come “diverso” diventò “pericoloso”. Ancora non capisco perché ci odiano così tanto.. presero Ruth mentre faceva la spesa: non ho mai pianto tanto in vita mia; non passò molto tempo prima che venissero a prendere anche me.


Inutile dire che la penso come V, perlomeno riguardo alle rose :), e questo è il mio minuscolo contributo perchè conoscenza e passione continuino- o ritornino, a seconda dei punti di vista- a riscattarci dall'anonimato, che significa omologazione, controllo e discriminazione per chi lo rifiuta.

Fenomenologia dei compagni di Liceo (I)

tre dei personaggi che preferirei dimenticare:

LA PERFETTA(e)SVAMPITA: bella ed efficiente, macina ottimi voti ed ha l'aria di chi ha rattrappito il cervello all'oratorio. Non è mai chiaro se ci è o ci fa, ma alla fine dei 5 anni è riuscita persino a mandare affanculo una. Ed io lei. Che goduria. Il soggetto può ispirare una tenera simpatia, simile a quella che si prova per le cose buffe. MI ANNOIA.

Il CHIRICHETTO: Piombato sui banchi direttamente dalla parrocchia, continua a dispensare spergiuri e sermoni, da perfetta fattucchiera religiosa, anche tra le mura scolastiche. Sostiene l'inutilità della filosofia. Abile compilatore di registri delle altrui assenze, nonchè ragioniere e ciambellano di corte, ama dipingersi la lingua di marrone. Dopotutto, questo le gerarchie insegnano. OUT.

LA FURBACCHIONA: Una che definisce furbo (leggi: sleale) chi non ha la testa di un cane da riporto. Il suo attaccamento al numero di serie (leggi: voto) è tale da non considerare sleale il suo furto di un proprio tema, disgraziatamente valutato 4 1/2. Non si smuove dal fianco della secchiona, nel tentativo do sottrarle qualche punticino. I suoi occhi sono costantemente socchiusi nello sforzo di comprendere le lezioni, ma lo sguardo è vacuo, le meningi immotivatamente spremute, mentre il braccio si muove convulso per registrare ogni singola parola esca dalla bocca dell'insegnante. CAPRA.

Aidaa: Il Papa rinunci all'ermellino

«Petizione online non venga letta come attacco alle tradizioni religiose»

ROMA
«Vogliamo chiedere a papa Benedetto XVI di rinunciare alla stola di ermellino e vogliamo che a farlo siano in tanti, davvero tanti, e non solo animalisti, ma tutti coloro che credono che oggi sia indispensabile una grande mobilitazione per ricordare a tutti che gli animali sono esseri senzienti e che soffrono, hanno paura quando vengono ammazzati e portati al macello». Lo ha detto Lorenzo Croce, presidente nazionale dell’Associaizone italiana difesa animali ed ambiente (Aidaa).

«Noi confidiamo di raccogliere davvero tante firme a sostegno della nostra proposta - continua Croce - che invieremo al Santo Padre nel prossimo mese di settembre e siamo certi di riuscire inquesta iniziativa, che per qualcuno sarà letta come una provocazione o un’attacco alle tradizioni religiose, ma che noi vogliamo invece intendere come un messaggio di amore e di pace a colui che per milioni di persone è messaggero di pace e amore».

«La raccolta di firme online - conclude Croce - per chiedere al papa Benedetto XVI di rinunciare alla stola di ermellino è partita ieri. Obiettivo finale è quello di inviare entro la fine di settembre un’appello firmato non solo dagli animalisti ma anche da tutti coloro che condividono questo messaggio di pace e di amore al Santo Padre per chiedere a lui un forte segnale verso la tutela degli animali e dell’ambiente partendo da una piccola ma significativa rinuncia personale. Per firmare basta collegarsi all’indirizzo online
www.firmiamo.it/papasenzaermellino».

Per quel che mi riguarda, potremmo rinunciare direttamente al Papa.
Al di là di questo, mi sembra giusto firmare.

Cose che amo

L'accoglienza, l'ospitalità, la parlantina verace delle signore romagnole di una volta, una spontaneità che riscalda e lava un po' tutto, sono qualità rare oggi. Miriam, tua mamma è veramente stupenda.

Heroes



Ognuno ha i suoi eroi. Nonostante l'eroina, che mano a mano li distrugge o già lo ha fatto.
Sembra quasi di sentire l'odore del vomito e del patchouli. E quegli occhi, porca puttana. Quelli di una tragedia che non ascolta più l'angoscia, e la sua voce come un requiem che rimbomba di tutta la merda passata sotto i ponti, avvicinandosi prima, poi di nuovo lontano per cadere, un tonfo sordo sull'asfalto dell'animo. E Nico è caduta, e morta, banalissimamente in bici, come non si addice ad una così.

Dopo il disco della banana warholiana con i Velvet Underground, che ha scolpito a chiare lettere il suo nome nella storia del rock, dopo Chelsea Girl bellissimo ma educato dalle illustri collaborazioni di John Cale e Lou Reed, Nico, l'ex modella preferita di Coco Chanel, entra in una dimensione artistica personale e d'ascolto più impervio. Un cammino che segue i contorni di una personalità tenebrosa e che la porterà ad una decadenza fisica (e non solo) impressionante, da bellezza glaciale qual era. Sempre con l'aiuto di John Cale, Nico trova la sua dimensione in un amalgama straordinario di voce, harmonium ed organo. Il canto è algido e asessuato, gli arrangiamenti spesso ridotti all'osso.

Austera ed inquietante, la musica della trilogia gotica The Marble Index, Desertshore e The End è il parto sofferto di ciò che Nico stessa rappresenta ed in parte è stata.

A Villa Arconati, vicino a Milano, ho ascoltato un mesetto fa Siouxsie, icona del movimento dark ufficiale che segue di una decina d'anni la musica di Nico. Magari in un altro post parlerò di lei e del sue bel concerto. La stessa Siouxsie ha sempre considerato Nico un faro musicale.

Sul tubo, anche nella stessa finestra sopra a fine riproduzione, potete trovare alcune chicche, come la comparsa di Nico ne la Dolce Vita di Fellini, o la stupenda e commovente canzone che le ha dedicato un'altra grande musa del rock: Marianne Faithful (chissà se la avete vista, invecchiata certo ma splendidamente uscita dal tunnel delle dipendenze, in Irina Palm). Song for Nico (qui il testo). E' una canzone bellissima, che ripercorre ad ampie falcate la storia di Nico, con un unico denominatore comune: she is in the shit.

La Mariée mise à nu par ses célibataires, même - Duchamp, Luce e Massoneria

La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche








Conosciuto più come spesso come Il
Grande Vetro, è l'opera singola più importante che Duchamp abbia realizzato, per sua stessa ammissione.


L'opera consiste in due grandi lastre di vetro (277 x 176 cm) al cui interno si trovano lamine di metallo dipinto, fil di piombo, polvere. I curiosi marchingegni intrappolati nel vetro della parte inferiore non sarebbero che testimonianze del denudamento di una sposa, come ci sugerisce il titolo. Nella parte superiore, invece, si trova la Vergine Sposa, Iside ed Euridice, insomma, la Dea.
Innumerevoli sono state le interpretazioni date dai critici, una delle più interessanti tra le (poche) cui ho dato una scorsa è sicuramente quella di Maurizio Nicosia, che mette in rilievo l'interesse di Duchamp per il culto della luce, un persorso del tutto unico nel suo tempo ma largamente percorso nell'arte precedente. Il Grande Vetro, con i suoi materiali sovrapposti, la matericità delle polveri e le sue trasparenze è una vera celebrazione della luce e della sua metafisica. Lo stesso Duchamp lo definì 'mondo in giallo' riferendosi alle modalità di propagazione dei raggi luminosi negli strati materiali prospettandone "l'esecuzione [esecuzione di un'opera! una concezione splendidamente oltre la staticità del dipinto tradizionale] per mezzo di sorgenti luminose". Nicosia, brillantemente, lo definisce "un cosmogramma della luce, ovvero una rappresentazione simbolica dell'emanazione universale della luce e, al contempo, un viatico per tornare alle origini, alla luce stessa".

Duchamp elaborò un'ampia base teorica sull'opera in questione, che raccolse in due "scatole" e pubblicò in tiratura assai limitata. Inutile dirlo, gli scritti sono di difficile interpretazione, alla luce del minimalismo ermetico della scrittura di Duchamp. Uno schizzo considerato irrilevante dai più, probabilmente perchè troppo criptico, all'interno della prima scatola, raffigura un ciclista che risale un pendio. La frase che lo accompagna suona come "Avere l'apprendista nel sole".
Nel contesto dei rituali massonici, la frase non può che alludere ai riti d'iniziazione, al momento in cui l'apprendista riceve ed entra nella luce. Il ciclista, in quest'ottica, può essere interpretato come l'iniziato che tenta l'ascesi.
Ma questo non basterebbe per pensare ad una relazione dell'opera con la cultura rituale massonica. Duchamp, tuttavia, scrisse sempre a proposito del Grande Vetro che aveva una base in «maçonnerie». La maggior parte dei critici ha semplicemente interpretato la parola come "muratura", traduzione effettivamente adeguata ma non univoca. Come sottolinea Nicosia, volendo indicare senza possibilità d'equivoco la muratura, Duchamp avrebbe sfruttato il termine "murage".
Teniamo un attimo a freno la speculazione critica, però: avere un fondamento in massoneria altro non significa che il percorso concettuale dell'opera, che si propone appunto come una metafisica e poetica della luce, è analogo al rituale di ascesa iniziatica che conduce alla luce stessa. O forse c'è di più. Dopotutto quasi tutte le religioni ed i culti dedicano uno spazio rilevante alla Luce, Duchamp avrebbe potuto scegliere agevolmente un'altra metafora. Rimane una punta di dubbio.

Duchamp descrisse Il Grande Vetro come un motore, un veicolo iniziatico che conduce all'Amore, che poi sarebbe lo sbocciare della sposa, della Dea.
Secondo i preziosissimi appunti dell'artista, al funzionamento di questo motore concorrono due elementi: "il gas luminoso" e la caduta dell'acqua (da quella sorta di nube che sitrova nel riquadro superiore). Tali sarebbero gli strumenti che consentono di muoversi tra 'Il Riposo' e la 'Scelta di Possibilità', termini di Duchamp che noi potremmo assimilare all'Uno platonico e al concetto di molteplice. Il gas luminoso e l'acqua in caduta, infatti, sarebbero una sorta di cerniera tra i due concetti, unificanti e divisori allo stesso tempo.
Ancora, Eraclito parlava di via ascendente e di via discendente, e non è difficile scorgere anche la sua influenza filosofica.

Acqua e gas luminoso, capisaldi di una cosmogonia ermetica della luce e gradini di un persorso iniziatico che l'artista non solo descrive ma sicuramente auspica. L'opera diventa un invito ed un grimorio di difficile lettura, ma di sicuro potere evocativo.

Sua Maestà il Faggio

Anche questo 'articolo', assieme a quello precedente sulle Scarmigliate, fa parte di una brevissima serie che scrissi poco meno di un anno fa su un sito di giardini. Li ripropongo qui come fosse una sorta di mio diario personale, di ciò che sono e che ho fatto.

Qualche tempo fa ho visitato la casa, completamente immersa in un bosco, di una cara amica. Tra le essenze arboree che popolano quel bosco la più straordinaria è forse quella del faggio (Fagus sylvatica), perfettamente a suo agio in folti gruppi e parimenti splendido da solo, quando si rivela maestoso e altero, con i rami robusti che si dipartono piuttosto bassi sul tronco ed il fogliame nervato elegante in ogni stagione, che sia verde tenero o cupo, amaranto, giallo-bruno o rosso.

Ed il Faggio, longevo anche fino a 300 anni, ha sempre sussurrato messaggi di eternità agli uomini, fin dall’antichità, quando era considerato uno di quegli alberi cosmici che congiungono terra, cielo ed inferi portando le sue linfe vitali al cosmo intero, che nutre e dal quale è nutrito.

Vecchie leggende britanniche e del nord della Francia narrano che dentro agli alberi si nascondano le anime intrappolate di chi deve pagare pegno di qualcosa, di chi in vita ha avuto una qualche manchevolezza e che ora deve scontare nutrendo la pianta con la sua stessa essenza.

Beh, non so se gli antichi considerassero questa una sorta di punizione, ma io lo trovo terribilmente eccitante.

Penso che pianterò un Faggio, prima o poi, chissà che qualcuno della mia famiglia non ne diventi il druido o la driade.

E nel mio giardino immaginario, un faggio dovrebbe essere piantato in questo modo che ora vi descrivo.

Al centro di un grande spazio quadrato si leverà elegantissimo, negli anni, un Fagus sylvatica ‘Purpurea Tricolor’, varietà pregevolissima di questa pianta. Normalmente diffido delle piante e soprattutto degli alberi a fogliame variegato, spesso pacchiani o difficilmente armonizzabili, ma questo, che ha come sinonimi anche ‘Roseomarginata’ o semplicemente ‘Tricolor’, ha dalla sua parte una leggerezza di portamento e fogliame che riesce a vaporizzare, complice una luce soffusa, lo sfarzo di ogni singola foglia, trifasciata sul margine e a colorazione rosso scura, rosa e rosso vivace, in una nube di farfalle. In primavera, al comparire del nuovo fogliame, lo spettacolo è di una bellezza difficilmente descrivibile: i rosa e i rossi pallidi si inseguono attraverso l’impalcato elegante dell’albero, quindi le tinte si opacizzano a stagione avanzata, per virare al giallo e al bruno in quella autunnale.

Quest’albero si esprime al meglio, sia dal punto di vista estetico che colturale, in condizioni di mezz’ombra, e magari circondato da una siepe verde cupo.

Attorno a quest’albero cosmico personale, va lasciato spazio: è un attore di movenze e gestualità ampie e ricche, ma sa catalizzare l’attenzione anche in perfetta solitudine.

Ai suoi piedi, in ampi gruppi ben distanziati tra loro crescono Epimedium x rubrum, un bellissimo ibrido tra Epimedium alpinum e Epimedium grandiflorum: oltre ad essere più rapido nella crescita rispetto ad altri del genere, senza essere mai invadente, sfoggia un fogliame in continuo cangiare, rossastro all’apparire così come in caduta, di un bel verde nel resto dell’anno, e racemi di fiori primaverili dai sepali rossi e petali giallo chiaro. Mi rimanda ad un esotismo silvano che in fondo un po’ m’appartiene.

Ad ondate crescono anche masse di crochi color ametista, magici a primavera quando accompagnano il superbo fogliame giovanile del faggio, e ciclamini a fioritura autunnale come il classico Cyclamen hederifolium o come il più insolito Cyclamen cilicium, un po’ meno rustico, ma che porta le foglie al momento della fioritura, al contrario del precendente.

Infine, tre grandi rose definite rampicanti ‘Sir Cedric Morris’, ma qui coltivate come enormi cespugli e collocate asimmetricamente a gran distanza dal Faggio, coloreranno il giardino fino a stagione molto avanzata con bei cinorrodi arancioni e, a primavera, con delicati e semplici fiori bianchi, profumati, in ampi corimbi.

Da una panca situata al limitare del giardino, proprio di fronte a sua maestà il Faggio, siede il giardiniere custode di questo luogo, e dialoga con Lui, chissà di che cosa. Forse di ordini cosmici ed equilibri del tutto irrazionali, o forse no.

Mi piace pensare che chi pianta un albero sia ancora oggi il protettore di questi ordini, di questi equilibri, che traggono sapere e serenità non tanto dalla conoscenza del Mondo e della Natura, ma dalla percezione intuitiva dell’essere un tutt’uno con essi.

Arte e politica? (I) Le terribili sorelle


Firma questo articolo Marinella Venegoni, critica musicale (bravissima) de La Stampa, nel lontano '94. Un modo di riflettere di politica in un ambito inusuale, quello artistico, attraverso il pensiero di due grandi artiste.




Il 'divorzio' politico delle sorelle terribili Loredana fan del 'Che' e Mia Martini svolta a destra: 'Dalla sinistra solo fregature' Ma la Berte' si presenta al Festival con gli orecchini a falce e martello



MILANO. Non si sono parlate per anni. Si sono riappacificate dopo che LOREDANA BERTE' aveva tentato il suicidio per il fedifrago Borg: i rotocalchi immortalarono l'abbraccio affettuoso di Mia Martini alla sorella infelice sul letto d'ospedale. Abbraccio che chiudeva anni di rapporti burrascosi o, peggio, inesistenti: la pace fu siglata da una partecipazione comune al Festival di Sanremo, l'anno scorso, e nuovamente scoppio' la burrasca. Banali rivalita' artistiche, forse. Cantarono insieme sul palco dell'Ariston, le sorelle, ma senza guardarsi mai in faccia. Poi Mia Martini e LOREDANA BERTE' sono tornate a parlarsi ma hanno opportunamente separato le loro strade musicali. La contrapposizione si trascina inevitabile e sfuma ora sulla politica: LOREDANA sta diventando sempre piu' rossa, mentre Mimì ha abbandonato di brutto l'antica fede, e sta trascolorando dal nero al verde, nell'attesa che le alleanze preelettorali si chiariscano definitivamente. Come si sa, l'ancor procace LOREDANA si prepara a tornare al Festival ed ha scritto per l'occasione un testo autobiografico in cui ribadisce la propria nota, recente passione per la sinistra estrema e piu' romantica. Dicono le parole: "Con la foto di Guevara / Vado a letto la mattina... / Sparo in cuffia regolare / Solo L'internazionale / Per sognare sul finale...". Sembra che, per cantare sul palco della manifestazione tv piu' seguita, si sia persino fatta fare un paio di orecchini d'oro con la falce e il martello. Glieli lasceranno mettere o verranno considerati propaganda elettorale? Mia Martini, in partenza per un tour jazz negli Usa, proprio durante il mese del Festival che l'ha respinta, ha invece cambiato bandiera dopo una vita trascorsa nella sinistra. Dalla casa in campagna nel Lazio, dove vive, racconta fuori dai denti: 'Sono disgustata dalla sinistra e dalla sua corruzione. Mi sono appassionata a Fini, l'unico mai coinvolto, che non ha mai rubato, e anche garbato: pero', adesso sento che si vuole alleare con Berlusconi. E poiche' Berlusconi appartiene al vecchio, nel senso del psi piu' rampante, non lo votero' mai. L'ultima idea e' di parteggiare per i Verdi: ma se confermano di restare nel cartello Progressista, non voto piu' neanche loro'. Sara' dura, la scelta, per Mia Martini. Come fa una che ha sempre votato a sinistra a pensare di mettersi addirittura con Fini? 'Non ho mai fatto politica attiva, pero' mi ricordo che da piccola veniva a casa nostra Nenni, che era amico di mio padre, e io a tre anni mi mettevo dalla finestra a urlare a squarciagola "Avanti popolo alla riscossa". Mio padre, che e' professore di greco antico e dava lezioni in casa, mi veniva a tappare la bocca. Io mica sapevo quel che cantavo, mi piaceva il ritmo'. Che cosa e' successo di tanto grave da farle cambiare idea? 'Una mia amica, Alba Calia, che era direttrice di Televideo, e' stata cacciata, senza stipendio da un giorno all'altro. Era una socialista craxiana e su questo abbiamo sempre litigato, pero' cosa c'entra? Mi pare che adesso il pds stia facendo le stesse cose che faceva Craxi: fanno vita tranquilla Lorenza Foschini del Tg2 e altri come lei che si sono avvicinanati al pds al momento giusto dopo aver fatto carriera con il socialismo rampante. Ma chi non la pensa come loro viene cacciato. E questo e' solo l'ultimo episodio di una catena che ho sopportato a lungo senza fiatare'. Gli esegeti della vita di LOREDANA BERTE' fanno invece risalire la sua conversione a sinistra al dopo Borg e alla fine di un'esperienza apparentemente dorata. Sull'argomento, Mimi' Martini si limita a dire: 'Non mi ricordo che le interessasse la politica, in passato'. Si sa di un'assidua corrispondenza della BERTE' con 'il manifesto': al giornale, ricordano che i suoi fax sono arrivati puntuali ogni giorno per quasi un anno e si sono poi interrotti, bruscamente, tre mesi fa, forse in concomitanza con gli impegni per il prossimo Festival. 'Mandava attestazioni generali di stima: " Siete bravi" - ricorda un redattore - o interveniva nello specifico su articoli e titoli, sempre in positivo. Ma non è mai neanche venuta in redazione, come altri cantanti di sinistra, tipo la Nannini, hanno fatto'. Se con la BERTE' non si puo' parlare, Mimi' Martini e' un torrente in piena. Sulle vicende della sinistra riapre l'album dei ricordi della sua vita non facile, rintraccia i primi campanelli d'allarme che le fecero male: 'Quando la casa discografica Ricordi, nei primi Anni 70, mi fece causa perche' me ne andai, io vendevo milioni di dischi ma non avevo ancora visto una lira d'anticipo. Al processo il pretore mi guardò - lui era un pretore d'assalto e io una star, cantavo all'Olympia all'epoca - e disse piu' o meno: "Io ho i metalmeccanici, non mi posso occupare di voi, che paghi la Martini". Nessuno, da sinistra, pensava che una che cantava potesse esercitare i propri diritti. Persa quella causa, la mia vita e' sempre stata in salita>. Con un filo d'ironia Mimi', la voce piu' bella d'Italia, ricorda anche l'incontro con Ivano Fossati, con il quale ebbe un lungo sodalizio sentimentale e artistico. L'incontro la trattenne nell'area progressista: 'Quando ci mettemmo insieme, misi via i tacchi e mi arrangiai con le calosce, i gonnelloni e il pci. Finche' non arrivo' il craxismo rampante: fu allora che dovetti cominciare a difendermi per non partecipare alle trasmissioni che incensavano il Garofano. E sul Garofano, credo di aver inciampato anche piu' recentemente a Sanremo: nell'89 - alla vigilia di cantare "Gli uomini non cambiano", che tutti pronosticavano vincitrice - la mia casa discografica dell'epoca, la Fonit Cetra consociata Rai, mi propose un contratto secondo il quale dovevo impegnarmi a cantare durante la campagna elettorale di Manca, allora presidente Rai: la firma doveva avvenire prima del Festival. Io rifiutai. Non vinsi il Festival. Non so se le due cose vadano messe in relazione. 'Comunque mi guardi indietro, la sinistra mi ha fregata tutta la vita'.

Marinella Venegoni


08-02-1994

Peggy Guggenheim

C'è chi si nutre di carisma, chi lo irradia e chi riesce in entrambe le cose. Probabilmente Peggy era una di queste ultime persone. In natura bello significa armonioso, ma l'uomo può avere ulteriori concezioni: è ciò che lo rende diverso. Lei lo capì profondamente, complice un retroterra culturale ed intellettuale fertilissimo, e mise assieme una collezione straordinaria oggi conservata sul Canal Grande a Venezia, perlomeno in parte: Peggy, impulsiva com'era, amava regalare pezzi anche importanti. E non parliamo di bruscolini: Antoine Pevsner, Henry Moore, Henri Laurens, Alexander Calder, Raymond Duchamp-Villon (fratello del più famoso Marcel, che insegno a Peggy "la differenza tra l’arte astratta e surrealista") Constantin Brancusi, Jean Arp, Max Ernst, Pablo Picasso, George Braque, Kurt Schwitters nonchè Vasilij Kandinskji e Yves Tanguy, ai tempi del tutto sconosciuti, sono tutti annoverati tra le conoscenze strette di questa vera e propria musa. Attraverso la sua attività di collezionista, organizzatrice di mostre, scopritrice e protettrice di talenti, Peggy Guggenheim è a pieno diritto parte della storia dell'arte moderna.
Peggy, abbigliata in maniera eccentrica e catalizzante, era una donna che si annoiava facilmente e che pertanto, assetata di vita, faceva lunghi viaggi: Tibet, India, Giappone. Per gli artisti era un punto di riferimento unico e tutti passavano da lei trovandosi a Venezia.

Le biografie di Peggy ce la descrivono come una madre distaccata ed irascibile assieme, egocentrica, cuoca del terrore, una personalità difficile: del resto e' risaputo che le persone di carattere hanno sempre un pessimo carattere.
Le fotografie che la ritraggono ci parlano di lei, occhialoni enormi che alterano la sagoma del volto, abiti straordinari, circondata dai suoi cani razza tibetana lhasa apso, tra sculture africane, lampadari ed oggetti d'arte che precorrono i tempi.




Il suo lascito ed il suo carisma, attraverso lo splendore dei luoghi che ha abitato, la sensibilità e la tenacia che si scorge dietro la sua collezione, sono eterni.


Ah, ieri l'altro sono stato a Venezia, quindi anche a Ca' Venier dei Leoni che ospita il museo Peggy Guggenheim ed una collezione certamente tra le più importanti in Italia nel mondo. Io sono rimasto estasiato. Il museo non è enorme e questo permette di soffermarsi su opere mediamente molto famose (non voglio parlare di qualità, quella era indubbia anche per le meno blasonate) senza sentirsi in ansia come al supermercato. Gli spazi sono raccolti, anche il giardino interno è assai piacevole, ed è una degna cornice per sculture di artisti come Moore.
Venezia poi è da Sindrome di Stendhal.

La svolta metafisica...

1921, Carlo Carrà

L'amante dell'ingegnere

A parte il fatto che Carrà è stato un artista assolutamente eclettico, poeta e pittore, che ha sondato le più diverse avanguardie artistiche giungendo ad esiti metafisici, ancora una volta non definitivi, qui la cosa importante è un'altra.

C'è che quella ragazza con gli occhi socchiusi, immortalata e scolpita nel busto di marmo, è solo la fredda copia di se stessa, il suo cadavere imbalsamato.
Vorrebbe sentire un suono in quel vuoto, che uscisse almeno dalla sua bocca.
Fronteggia l'incomunicabilità del suo amante, un mondo intero di rigore e razionalità. Ma dietro c'è solamente l'abisso nero della sua coscienza.

Per la madonna, non puoi chiudere gli occhi per sempre. Voltati ed entra nell'abisso: quando guardi nell'abisso, l'abisso guarda dentro di te.

P.s.: sono conscio delle forzature, ma io adoro farmi attraversare.

Il Giardino delle Scarmigliate (II)

Un'altra pianta meritevolissima delle nostre attenzioni, è Gaura lindheimeri. Vicino a qualche pianta di ginestra, risalterà perfettamente varietà ‘Crimson Butterflies’, dal fogliame bronzo-rossastro e dai fiori rosa porpora. Anche questa specie, leggerissima e vaporosa, fiorisce a lungo, dall’estate all’autunno e necessita di minime cure. Non appena la pianta comincerà a farsi disordinata, la si tagli a metà: dopo un paio di settimane riprenderà a fiorire.



Per creare dei cuscini compatti e vellutati grigio argentei, Dorycnium hirsutum è perfetto; fiorisce in maggio-giugno, con delicati fiori bianco rosati e ama il sole. Anche i frutti che seguono sono decorativi: piccole stelle brune che si reggono sugli apici dei rametti. Gauree e Dorycnium si autodisseminano abbondantemente, ma sono piante talmente amabili in gruppo che questa caratteristica non può che essere un valore aggiunto.






Come non ricordare, infine, almeno alcune delle innumerevoli erbe ornamentali che possono aggiungere tocchi di spontaneità e leggerezza nelle bordure più “piene” e ricche così come tocchi ricercati se utilizzate in massa a formare geometrie o se accostate a piante più comuni.Tra le novità, Pennisetum villosum ‘Cream Falls’ sorprende per le spighe, quasi piccoli batuffoli fatati, che sembrano voler catturare ogni raggio di sole per poi brillare di luce propria.








Stipa tenuissima e Stipa arundinacea e varietà di Panicum virgatum come 'Shanandoah' (che belli gli apici rosso-brunato del suo fogliame!) troveranno un’immediata affinità di spirito con le altre piante citate, e potrebbero essere utilizzate per coprire i tronchi spogli che le ginestre vanno a formare, invecchiando, alla base.





--Tra spontaneità e ricercatezza, suggerimenti per una bordura--

Piantate le ginestre in un gruppo di almeno tre esemplari e lasciatele crescere verso l’alto: saranno loro lo sfondo della nostra bordura. L’unica cura non richiesta è la spuntatura delle parti non legnose dei rami in autunno. Non potate mai sul legno vecchio! La pianta non ve lo perdonerebbe.




Sul fronte delle ginestre, ad una certa distanza, potreste collocare un gruppo di Panicum virgatum. ‘Shanandoah’. Un taglio drastico a fine inverno, per consentire la crescita del nuovo fogliame primaverile, è ciò che vi chiedono.

Le leggiadre Gauree color porpora saranno da collocarsi di fronte ai Panicum, anch’esse in folti gruppi che andranno a infoltirsi ogni anno, interrotti qua e là dai cuscini di Dorycnium hirsutum.

Il Giardino delle Scarmigliate (I)

E' certamente possibile mettere su carta il pensiero, così come è possibile esprimerlo con le parole. La condizione sufficiente per trasmetterlo o interpretarlo, pur in una sua forma imperfetta, è la conoscenza del linguaggio utilizzato.
La lingua, scritta o parlata, non è però l'unico mezzo per comunicare, e così i linguaggi si moltiplicano. All'interno dei linguaggi dell'arte è certamente annoverabile quello del Giardino, del tutto atipico per alcune sue caratteristiche: la mutevolezza del suo 'parlare' in accordo con le stagioni e con la maturità del giardino stesso, la possibilità di coinvolgere tutta la sfera sensoriale.

Nel tentativo di offrire un tributo ad una bellezza imperfetta, giocosa e arruffata, nonchè spesso dimenticata, attraverso un angolo di giardino, qualche tempo fa ho scritto una serie di linee guida facilmente interpretabili e riproducibili.

Ci sono piante, come persone, che non amano le atmosfere pompose e opulente, perfettamente studiate, ma preferiscono piuttosto un piacevole disordine o una ricercata essenzialità. Può sembrare strano, ma in molti casi sono proprio le stesse piante a prestarsi a scopi così diametralmente opposti.

Altre, poi, non amano l’eccesso di cure e di attenzioni, e preferiscono essere abbandonate a se stesse, a compiacersi della loro bellezza. Parlerò allora proprio di queste piante, accomodanti spiriti liberi.

La prima pianta che mi viene in mente è la conosciutissima ginestra dei carbonai (Spartium junceum), così solare e appariscente nei folti gruppi sparsi sulle colline e ai margini dei boschi di quasi tutta Italia.

Fiorisce in giallo dorato dalla fine della primavera a gran parte dell’estate, profuma soavemente, ed entra a pieno diritto tra le piante che si rifiuteranno di crescere “nel giardino della gloria”: prospera infatti felice nei terreni più aridi e sassosi, poveri, come ci ricorda Leopardi, che la ammirava da villa Ferrigni, presso Torre del Greco, dove visse gli ultimi anni della sua vita :

“Qui su l’arida schiena

del formidabil monte

sterminator Vesevo,

la qual null’altro allegra arbor né fiore,

tuoi cespi solitari intorno spargi,

odorata ginestra,

contenta dei deserti. …”

Storia dello studente che non voglio essere

Vive lontano, si applica con impegno e fatica in uno studio difficile e pare essere un piccolo genio. Di una materia che non ama, né apprezza. Forse amore e genio non si accompagnano come romanticamente supponevo. Forse anche i geni si piegano alle regole della necessità economica o, peggio, dello status symbol professionale, o scolastico, piuttosto che alla propria vocazione.

Su di un modesto trespolo, poco dietro di lui e seminascosto nella penombra, un Ara blu oramai smagrito per noncuranza, sembra voler sussurrare verità che non devono essere ascoltate. La scelta è stata fatta, anni prima.

E quel fiore irto di spine che ha colto pochi mesi addietro sta nuovamente deperendo alle sue cure, al suo impegno e sul suo fertile terreno di coltura.

Lui non sa che quella pianta superba, prospera sulle colline, di giochi, canti e saliscendi, deperisce invece nel giardino della gloria.