Appartamento #2

Digito il numero indicato nel bigliettino, quello che avevo trovato malamente appiccicato all'angolo tra via Ampere e Piazza Leonardo, dove gli offro affitto vendo cerco offro si ritrovano prepotentemente ammassati, da insolito crocevia commerciale qual è. Nei cartoni animati giapponesi c'era sempre un bel tempietto dove le liceali andavano ad appendere i loro bigliettini, cioè i loro desideri, sperando nel potere di quel crocevia spirituale. Con la speranza di un ex liceale, dopo qualche squillo di telefono, mi ritrovo a parlare con una signora anziana: la voce era debole, l'andatura del discorso stucchevolmente lenta, d'altri tempi. Chiedo ovviamente infomazioni sull'appartamento, sulla quantità di locali, quindi di vederlo. Mi manda in una certa Via Tallone, una via privata, misconosciuta anche dai residenti in zona, che raggiungo però grazie ad uno strappo in auto della mitica signora che mi ospita, Teresa, che ne approfitterà per dare lei stessa un'occhiata all'appartamento. Energica settantenne, guida disinvolta tra gli automobilisti sclerati di Milano, è misurata ma di parlantina sciolta, giovane. Arrivati a destinazione, non c'è nessuno ad accoglierci come concordato. Okay, poverini, sono anziani un po' rincoglioniti, li richiamerò.
L'appuntamento è spostato a due ore dopo. Questa volta i signori si presentano, moglie e marito. Entrambi alti, lui incurvato, ci conducono all'interno di una bella palazzina signorile, con i marmi gialli sulle pareti e la portineria.
"Lei è al primo anno? Noi preferiamo studenti del primo anno, così possono rimanere più a lungo" Parlano sommessamente, si sfregano le mani all'altezza dello sterno, come farebbe un prete, o un affarista. La categoria è quella dei misericordiosi che vanno a messa tre volte a settimana, si capisce subito.
Ad ogni modo l'impressione generale della palazzina è ottima.
Entrato nell'appartamento, pur assalito dal raccapricco, non ho difficoltà a nasconderlo: mi riscopro buon mediatore di me stesso. L'intonaco, dove non è caduto lasciando ampie chiazze grigie sui muri, è giallo o pieno di bolle d'umidità. Il pavimento è ovviamente graniglia di quella orribile, in più sporca e appiccicaticcia. "Prego, questa è la sala da pranzo". Non è piccola, ma l'ambiente è percebilmente insalubre. L'orrido incerato sul tavolo è la ciliegina. Il cucinotto è uno sgabuzzino dove, se solo passassi, non bagnerei neanche un dito. "Questo è il bagno", buio, dominato da una vasca giallognola come i muri, sovrastata da una tendina azzurra retta da un braccio metallico rotto, e quindi orribilmente cadente sulla vasca stessa. Una delle due camere, dove ancora alloggiavano i due timorati di dio che sono i coraggiosi che hanno vissuto lì quattro anni, sembrava concepita ad hoc per ricordarmi i peggiori campeggi, nonchè gli unici, della mia vita. L'altra, almeno, era spoglia.
Io e Teresa alla fine ci congediamo dai due benefattori. "Spero di concludere con lei" mi dice l'anziano signore. Io sono disgustato ma divertito, lei invece indignatissima. Emerge la sua statura, che non è certo fisica, quando con me, più volte, li definisce "aguzzini": per affittare una simile letamaia, evidentemente intoccata da oltre sessant'anni, a 1200 euro al mese, sissignori, ci vuole una bella faccia da culo eh.
Penso alle case dove sono costretti a vivere molti immigrati, e a quei due anziani benpensanti che si sentono tanto giusti.
Io mi adatto, ma nello stalletto non ci vivo. Se lo possono infilare dove dico io.

2 commenti:

Turion ha detto...

madonna!!! no comment, 1200...

Anonimo ha detto...

"La categoria è quella dei misericordiosi che vanno a messa tre volte a settimana, si capisce subito."

Questa frase è stata a dir poco meravigliosa, già è affascinante come descrivi la situazione, ma solo questa frase stende un vero e proprio tappeto rosso di arte nella narrazione.

Per la vicenda in se, mi dispiace che tu abbia dovuto incontrare due avvoltoi del genere, ma sai com'è, la vera persona si nasconde nelle linee di confine che rendono visibili le varie parti del ritratto di santità che ci facciamo

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